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Nella Piena Facoltà d'Intendere e di Volere

Da anni seguiamo e conduciamo Laboratori di Teatro dell’Oppresso all’interno di situazioni sociali coartanti: carceri, comunità per disagio psichico, C.T.A., comunità alloggio per minori e fidati, scuole in quartieri a rischio, etc…

È naturale che queste esperienze, se pur alternate con il palcoscenico, ti segnano come persona e come artista. Da questi due percorsi paralleli, umanamente e professionalmente, sono nate parecchie collaborazioni con associazioni umanitarie tra le quali Amnesty International. Con quest’ultima- nel 1998- in occasione del 50° Anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, dopo uno studio sulle torture, è nata l’esigenza di dare vita e trasferire le emozioni che le “storie” ci avevano suscitato. Non ci andava di vittimizzare i reali protagonisti o accentuare le crudeltà dei carnefici. A partire dal clown, con gli attori abbiamo pensato a ciò che diceva Leopardi del riso “Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo…”  e alla fede negli ideali, più forte d’ogni crudeltà dell’uomo.

La scenografia è volutamente scarna, nei teatri spogliamo completamente la scena di quinte e fondali, con corde, cavie e listelli in vista. Le luci sono “naturali”: lumini, candele e lumi a petrolio. Il rito è anche teatrale, nel ricordo degli albori del teatro che per noi e la platea diventa un’atmosfera catartica.

 

 

 

 

 

Il luogo delle torture è completamente al buio, pur non essendo visibili, le vittime sono già presenze evocate.

I “testimoni”, cioè il pubblico, si siede in silenzio, con una luce fioca.

Quando l’ultimo testimone sarà entrato nello spazio a lui assegnato, il buio inizierà a propagarsi sino ad avvolgere tutto e tutti.

Ogni presente prima di entrare nello spazio, viene bendato e consegnato a degli accompagnatori. Per poi essere smistati ad uno ad uno in platea, al caso, lontani dalla comitiva.

 

Scorre, anello dopo anello, la catena di ciascuna vittima, poi riparte in un crescendo che diventa uno spasimo, ogni singola catena è accompagnata da passi di diversa natura... tutte le catene nel loro disperato ripetersi formano un coro che si ferma, di colpo, all'apice.

 

Calano corde da più parti, a diversa altezza, di diverse forme con diversi nodi... nessuna di loro più in basso di una persona.

 

(A partire da destra) Un candelabro ebraico, la sedia elettrica, su cui sta seduto ad occhi chiusi il CLOWN, truccato, dentro il suo pigiama a righe, nell'ultimo pensiero triste, alla sua sinistra la macchina della morte, collegata alla sedia da un grosso filo elettrico.

 

(Al centro)… Una sedia di legno, regolare e robusta, su cui sta seduto di spalle il PAZZO, nel neutro bianco divisa della sua malattia con le braccia incrociate, le mani schiacciate sulle scapole... pensa con quale delle sue molteplici personalità al modo di scappare o rimanere.

 

(A sinistra)… Un vecchissimo baule vi sta, immobilizzato, il BARONE, un vecchio incatenato, reso quasi cieco da anni di oscurità. 

 

(Seduta sul proscenio)... Una DONNA bosniaca, in avanzato stato di gravidanza, col viso interamente coperto dai capelli, vittima di uno stupro collettivo da parte dei soldati serbi.  Le luci sono naturali, candele e lumi a petrolio, vengono accese all’inizio della scena e rispente alla fine.

 

 

Quattro monologhi accomunati da un unico tema: l'oppressione dell'uomo sul'uomo.

 

 

 

 

 

O Signuruzzu chieno di misiricordia e pietà

Fa in modo ca nuddo si possa scurdare tanta bestialità

Si nun ni ci rapi tu l’uocchi a to criaturi

Pi farni capire che fummi fatti pi l’amuri

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